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Sguardo all’invisibile. Capodanno.

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Capodanno, sguardo ai bilanci:

L’anno che sta arrivando tra un anno passerà,
io mi sto preparando, è questa la novità…
(Lucio Dalla, L’anno che verrà, 1979)

Un altro anno sta volgendo a termine ed è inevitabile volgere lo sguardo sui mesi passati, su ciò che è stato raggiunto e ciò che, invece, è rimasto in sospeso. La fine dell’anno segna il completarsi di un ciclo, ritma i nostri percorsi ed evoca inevitabilmente ricordi, confronti, resoconti, considerazioni. Rendendoci, di fatto, consapevoli della strada percorsa fino a questo punto, ma del tutto ignari, ancora, di ciò che potrebbe spettarci dietro l’angolo.

Lo sguardo dei Viandanti sospesi tra il nuovo e il vecchio:

Immagiamo, allora, di trovarci tutti sull’orlo di uno sperone roccioso, posto talmente in alto, da consentire ai nostri occhi di arrivare a scorgere anche laddove il tempo non è ancora giunto. Sospesi tra passato e futuro esattamente come il celebre viandante sul mare di nebbia, del pittore romantico Caspar David Friedrich. E coinvolti, a nostra volta, in un personalissimo Strum un Drung, (letteralmente: tempesta e impeto), che spinge a rompere i confini con tutto ciò che è conosciuto e razionale, per illustrarci, nebulosamente, quelli dell’intuizione del possibile.

Che accadrà il prossimo anno? Che si prepara per me al cambio data?

Il ruolo del mondo esterno:

Come per il protagonista del quadro, è allora al mondo circostante che ci rivolgiamo. Alla quotidianità e alla routine di tutti i giorni. Tutto ciò, insomma, che ci dà sicurezza. Sperando lì di trovare quella forza vivificatrice che possa aiutarci e facilitarci nell’intuizione.

E guardiamo verso il mondo. Verso le prospettive che offre. Ma la natura, in quanto portavoce dell’imperscrutabile, può essere colta solo dal Genio. Colui che, pur osservando privo di pretese intellettualistiche, non considera la ragione come totalmente inadeguata a conoscere il mondo e le sue leggi. Ma ne riconosce la complementarità con la natura. Una natura dai principi non accessibili alla ragione umana, dominata da una passione arrogante impossibile da domare e da sentimenti intensi. Perni intorno ai quali far girare la vita, ovunque questa ci porti. Rivoluzione o cambiamento.

Uno sguardo verso l’invisibile:

Siamo pronti a guardare al futuro con occhi curiosi e indagatori. Occhi spinti, però, ad assottigliarsi per penetrare sempre di più, nelle trame nascoste dell’invisibile. Perché in fondo è lì, sotto il velo dell’apparenza materiale, che si cela il seme della novità. Già fertile, sotto lo strato di terra che lo ricopre, ma ancora del tutto celato. Potente, nella propria capacità espressiva. Ma inaccessibile ancora alla razionalità. Uno sguardo diverso, insomma, che non si ferma in superficie e che si rivolge direttamente al tessuto immaginale che ci anima, fin dal profondo di noi stessi. Quel substrato fatto di sogno e immaginazione che concepisce, nutre e genera la possibilità di un’azione futura.

Occhio all’immaginazione:

In fondo pensiamoci: ogni grande cambiamento nasce sempre da dentro. Dall’immaginazione di ciò che può essere e non è ancora. Dal progetto. Dal desiderio di qualcosa che non c’è ma che vorremmo ci fosse. Come le parole stesse stanno a significare (progetto: gettare a favore, proiettare verso il futuro. Desiderio: tirar giù dalle stelle) tutto nasce da un seme che, distaccandosi dalla propria origine, si prepara a creare una nuova vita, custodito all’interno di uno scrigno segreto.  

E certo, come scriveva anche Rainer Maria Rilke: è questo in fondo l’unico coraggio che si richieda a noi: essere coraggiosi verso quanto di più strano, prodigioso e inesplicabile ci possa accadere [1]. In altre parole: essere pronti ad accogliere il nuovo, giacché il futuro entra in noi per trasformarsi in noi molto prima di essere accaduto [2].

Lo spazio interno del mondo:

A ciò serve, dunque, imparare ad affinare l’occhio alla seduzione esterna. Affinché ci permetta, scorgendo tra gli intrecci delle trame apparenti, di intravedere, se pur velatamente, ciò che si cela oltre. Aiutandoci ad andare incontro a noi stessi (trasformandoci sempre di più in noi stessi), proprio attraverso l’intuizione che spacca la crosta apparente del materiale e delle cose, per rinviarci verso un nuovo significato. Un nuovo senso.

Un cambiamento.

Nessun vento è favorevole per chi non sa dove andare,
ma per noi che sappiamo anche la brezza sarà preziosa.

Il movimento della vita:

Occorre sviluppare occhi e orecchie vigili e attenti al continuo movimento della vita. Così che il mondo esterno possa esprimersi in uno spazio protetto dentro di noi. E germogliare, dentro di noi, spalancandoci le porte del futuro.

Io imparo a vedere. Non so perché tutto penetra in me più profondo e non rimane là dove,
prima, sempre aveva fine e svaniva. Ho un luogo interno che non conoscevo.
Ora tutto va a finire là. Non so che cosa vi accada [3].

Viandanti dell’inizio:

Ma torniamo, ora, sull’orlo dello sperone roccioso, volgendo lo sguardo all’orizzonte per andare incontro al futuro. E invochiamo la divinità che a questo presiede. Il dio degli inizi: Giano Bifronte, o Ianus Bifrons, una delle più antiche divinità romane.


Raffigurato con due volti, uno speculare all’altro, egli è, infatti, il dio delle porte e dei passaggi. Come il suo nome stesso sembra rimarcare.
Residente sul colle del Gianicolo, che in latino significa appunto “luogo abitato da Giano“, era così descritto da Ovidio, ne I Fasti 1, 65-71.

Giano Bifronte:

Giano bifronte, inizio dell’anno che tacito scorre
Tu che fra gli dei puoi vedere il tuo dorso,
sii propizio ai tuoi duci per opera dei quali la fertile
terra gode di serena pace e così il mare

e dischiudi con il tuo cenno gli splendidi templi.
Sorge un giorno felice: accogliendo con animi e discorsi
appropriati: in questo giorno lieto si dicano liete cose.

Il doppio sguardo di Giano:

Giano è il dio del primo mese dell’anno, Gennaio, l’antico dio che guarda sempre contemporaneamente sia al passato che al futuro, custode della sottile linea fra il prima e il dopo, e sigillo garante della continuità fra inizio e fine. Gli antichi abitanti di Roma iniziavano così il loro anno.

Nel calendario gregoriano Ianuarius, il mese di Giano, è rimasto a guardia della fine di un anno e dell’inizio di un altro, riconosciuto anche in epoca cristiana come incarnazione perfetta del ciclo dei tempi, della storia e della natura. Sant’Agostino ne parla ne La città di Dio come del custode dei “passaggi”, terreni e ultraterreni, materiali e immateriali. Una figura ricorrente sia in epoca medievale, ancora fortemente intrisa di paganesimo, sia successivamente nella storia dell’arte, quale personificazione del rapporto dell’uomo con il suo destino mutevole. Giano Bifronte, colui che apre e chiude le porte, il solo che poteva guardare al passato e al futuro.

Il passaggio da uno stato all’altro:

Da quanto scritto, risulta evidente, a questo punto, il motivo di una tale invocazione.

Come divinità delle porte, nessuna è migliore di Giano per esprimere il doppio sguardo di cui parlavamo prima, citando Rilke. Lo sguardo che scruta all’esterno per creare uno spazio interno del mondo. Ogni porta, di fatti, ha un doppio porsi. È il presupposto per accedere al di fuori, “stanandoci in qualche modo dalla zona di comfort del conosciuto” e costringendoci a fare i conti con la realtà di tutti i giorni. Ma è anche il presupposto per l’accoglienza del fuori. Così che questo possa germinare in noi e trasformarci.

Il dialogo creativo tra interno ed esterno:

Dentro, al calduccio della casa, nel più vivace e acceso raccoglimento con noi stessi, è il ricordo.  Il passato e il conosciuto, che ormai abbiamo dato per assodato e consolidato e sul quale sappiamo di poter sempre contare. Come sostegno e protezione.

Fuori, invece, il mondo. Oltre la nebbia che si dissipa solo di fronte agli occhi del viandante che, incuriosito voglia esplorarla. Ricco di novità che solo chi possiede il giusto coraggio sa cogliere.

Se riuscissimo, come Giano, a porre in relazione costante queste due realtà (ricavando uno spazio esterno per i nostri ricordi e uno spazio interno per il mondo), il dialogo che ne risulterebbe diverrebbe allora un dialogo estremamente creativo. Laddove per creatività s’intende per l’appunto proprio la possibilità di creare se stessi. Essere artisti di se stessi.

Conclusioni:

In fondo, come scrive Rilke:

Tutto è portare a termine e poi generare. Lasciar compiersi ogni impressione e ogni germe d’un sentimento dentro di sé, nel buio, nell’indicibile, nell’inconscio irraggiungibile alla propria ragione, e attendere con profonda umiltà e pazienza l’ora del parto d’una nuova chiarezza: questo solo si chiama vivere da artista: nel comprender come nel creare. Qui non si misura il tempo, qui non vale alcun termine e dieci anni son nulla. Essere artisti vuol dire: non calcolare e contare; maturare come l’albero, che non incalza i suoi succhi e sta sereno nelle tempeste di primavera senz’apprensione che l’estate non possa venire. Ché l’estate viene. Ma viene solo ai pazienti, che attendono e stanno come se l’eternità giacesse avanti a loro, tanto sono tranquilli e vasti e sgombri d’ogni ansia. Io l’imparo ogni giorno, l’imparo tra i dolori, cui sono riconoscente: pazienza è tutto! [4]

Buon Anno a tutti!
Dott.ssa Valentina Marra, Dott.ssa Michela Bianconi, Dott.ssa Angela Paris

[1] R.M. Rilke (1929): Lettere a un giovane poeta. Milano, Adelphi, 1980.
[2] Ibidem.
[3] R.M. Rilke (1910): I Quaderni di Malte Laurids Brigge, Garzanti, Milano, 2002
[4] R.M. Rilke (1929): Lettere a un giovane poeta. Milano, Adelphi, 1980.

 

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