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LUOGHI DEL SOGNO: ATTRAVERSARE LA PORTA DELL’ANIMA.

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Il sogno:

Lo penso: e vedo (o sogno)
un piccolo villaggio, una gran pace:
dentro, un cantar di galli.
E il piccolo villaggio si smarrisce
in un fiaccar di neve.
Entro il villaggio in abito da festa
una casetta bianca.
Furtiva accenna una testina bionda
tra le cortine mosse.
Schiudo la porta; e i cardini, stridendo,
chiedono fiochi aiuto.
Poi, nella stanza, un timido e sommesso
profumo di lavanda.

(Sogno _ Rainer Maria Rilke)

Che cos’è un sogno?

Parafrasando Borges, come già abbiamo affermato in un precedente articolo: il sogno ci rende artisti. E ciò non tanto perché esso ci spinge a scrivere, disegnare, scolpire, o suonare…quanto piuttosto perché, entrando in contatto con noi, se saputo cogliere nel suo senso più profondo, aiuta a creare noi stessi. Modellandoci come cera, un tocco alla volta.

Si tratta, in soldoni, di una sorta di processo inverso rispetto a quello che comunemente siamo soliti attribuire allo scrittore, al musicista o al pittore. Un processo che, se da un lato vede l’artista costruire la propria opera “apparentemente” a propria immagine e somiglianza, dall’altro vede l’opera d’arte (il sogno) influenzare e modellare il proprio “creatore”. Come se non gli appartenesse poi del tutto.

Sogniamo o siamo sognati?

Facile, allora, a questo punto, cadere nella curiosità.
Sogniamo, dunque? Il sogno ci appartiene come un quadro al proprio autore? O siamo piuttosto noi le tele da dipingere e il sogno ci crea?
Siamo sognati?
Un quesito arcaico questo, a cui molti nel tempo hanno cercato di dare risposte.

Figlioli, questa notte ho sognato che ero una farfalla:
ora io non so se ero allora un uomo che sognava d’essere farfalla,
o se io sono ora una farfalla, che sogna di essere uomo…
(Chuang Tzu)

Ma alla verità del quale, forse, quello che si avvicinò di più fu William Shakespeare. Contemporaneamente onorando le due ipotesi e oltrepassandole.

Ho fatto un sogno:

Fu infatti il grande poeta inglese a proporre una sorta di sintesi tra i due elementi (il sognare e l’essere sognati). Affermando più semplicemente, per mezzo del protagonista de La Tempesta (1611), che: siamo fatti della stessa sostanza dei sogni. Per cui, allo stesso tempo, sogniamo e siamo sognati. Il sogno è dentro di noi, così come noi, nel farlo, siamo dentro di lui.
Pensiamoci.
Qual è la formula che adottiamo per raccontare la nostra notturna esperienza onirica?
-Ho fatto un sogno-.
-Ho sognato-.
Nessuno di noi dice mai: -Sono stato in un sogno-. Il che colloca abbastanza chiaramente questo mirabolante prodotto creativo all’interno di noi stessi. Da qualche parte nel profondo, come scriverebbe Rilke.  

Nel sogno io ero…

Eppure ci basta proseguire di poco il discorso, che già lo scenario cambia.
-Nel sogno ero a casa mia…-.
-Camminavo in una valle…-.
E, dall’essere noi il luogo all’interno del quale si svolge il sogno, diventiamo personaggi dentro di lui. Muovendoci tra le sue stanze, nei suoi boschi e nelle sue stranezze. Osservando ciò che accade intorno a noi ed entrando in relazione con altri personaggi. Visitatori? O abitanti?
Che cos’è che accade, allora?

TRAUM, alle radici del sogno:

Ce lo spiega benissimo la radice etimologica della parola traum, sogno in tedesco. Un termine che, pur non conoscendo questo idioma, immediatamente induce un’associazione piuttosto scontata. Un’associazione che, già da sola, richiama e racchiude le origini della psicoanalisi.
Traum à Trauma.
Inutile chiedersi esteriormente che cos’abbiano in comune i due termini, visto che sostanzialmente si tratta quasi della stessa identica parola. Interessante, però, a questo punto, diventa comprendere la loro parentela di significato, visto che τραυμα (trauma), in greco antico, significa ferita. Qualcosa che difficilmente assoceremmo a un sogno.
Non è, perciò, a questo primo livello d’indagine che possiamo fermarci.
Siamo chiamati ad andare oltre, scavare ancora di più alla ricerca dell’origine ontologica delle due parole. Abbandoniamo l’Antica Grecia, allora, e procediamo più in indietro nel tempo.

Attraversare, transitare:

Focalizziamo l’attenzione sull’inizio delle due parole: Tr-. E proviamo a completare queste lettere con altre lettere, tutte quelle che ci vengono in mente.
Treno, Tradire, Trapano, Astro…
Sono tutti termini che richiamano un transito.
Il treno è il mezzo che ci consente di andare da un luogo all’altro, attraversando uno spazio. Tradire indica un’azione che supera un confine, che va oltre (generalmente oltre gli elementi di una coppia). Il trapano è lo strumento che utilizziamo per forare qualcosa, trapassandolo. Quella che proviene dall’astro è una luce che attraversa il cielo…
Tr- di fatti, significa proprio questo: passare oltre. Attraversare.

La ferita come luogo di transito:

Nulla di così differente rispetto a ciò che accade nel momento in cui possediamo una ferita. Una feritoia attraverso la quale ciò che è interno (il sangue) può fuoriuscire e ciò che è esterno (ad esempio: i batteri) può entrare…
Ma come si coniuga, a questo punto, tutto ciò con il sogno?
In che modo il sogno costituisce un transito?
Diciamolo citando, di nuovo, la poesia da cui questo articolo è nato.

Il sogno di Rilke:

Il poeta, nell’opera, descrive un processo molto ben evidente.
Lo penso e vedo. Esordisce, infatti. Concentrando in quattro parole, un processo che conduce qualcosa di interno (lo penso dentro di me), metaforicamente verso l’esterno (lo vedo). Quasi come se tra il pensare dentro e il vedere (fuori) fosse collocata una porta invisibile che demarca e delimita i confini della nostra profondità. Di nuovo, nulla di così dissimile da ciò che accade quando, raccontandolo, passiamo dal dire “ho fatto un sogno” a “nel sogno io ero”.
Ogni volta, transitiamo una porta invisibile che controverte tutto. E che ci trasforma da teatro, in cui la scena onirica si svolge, ad attori. Coinvolti in prima persona nella commedia.

Commedia onirica: invito a partecipare.

Attenzione!
Non a caso è stata utilizzata questa parola.
Commedia.
Si tratta, infatti, di un riferimento piuttosto specifico, che va ad alludere a due concetti particolari.
Da un lato la commedia in senso greco, come opera teatrale che rimanda al mito di Dioniso. Dall’altro la commedia in senso dantesco, come descrizione di un viaggio che si transita in noi stessi, mediando con tutti i vari personaggi che vi si incontrano.

Commedia dionisiaca:

La commedia dionisica rimanda a un aspetto centrale del mito divino e a un’immagine che ricalca perfettamente il transito del sogno. Dioniso bambino che si guarda allo specchio e, riflesso in esso, vede un intero mondo?
In fondo non è così che accade anche quando sogniamo?
La cornice del sogno, come luogo di attraversamento, riflettendoci, ci porta in contatto con il mondo plurimo, vasto e meraviglioso che è dentro di noi. Quasi senza che noi, dissolti nella nostra immagine originale (quella del teatro che ospita la scena) possiamo rendercene conto. E per dar spazio a ciò che c’è effettivamente, all’interno della nostra psiche. La scenografica. Il ritmo. Gli altri attori e personaggi con cui siamo chiamati a relazionarci.

Commedia dantesca:

Trasformando la semplice visione rilkiana, a mano a mano che ci si lascia coinvolgere, nella partecipazione dantesca. Una partecipazione mediata, che media cioè, ponendosi in ascolto e nella più totale accoglienza, con tutto ciò che accade e con chiunque si presenti nel sogno.
Impossibile, allora, restare meri spettatori in un simile spettacolo.
Perché coinvolge, attrae, spinge e richiama a sé.

Il contatto trasformativo con il sogno:

E perché, nel farlo, solleva in noi dubbi e perplessità.
Mette in crisi chi siamo (o chi crediamo di essere), mostrandoci miriadi di altre possibilità di essere o agire. E ci consente di andare oltre noi stessi.
Trasformandoci.
Ecco, dunque, come il sogno agisce.
Il ruolo fondamentale che riveste nel nostro processo di conoscenza.

 

 

 

Un sogno è una porta nascosta
nel santuario più profondo
e più intimo dell’anima.
(C. G. JUNG)

 

 

 

 

 

Dott.ssa Michela Bianconi e Dott.ssa Angela Paris

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