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DISTURBI ALIMENTARI: RAPPORTARSI CON IL MONDO

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Introduzione ai Disturbi Alimentari:

I disturbi del comportamento alimentare, o più semplicemente disturbi alimentari, sono sempre più in crescita in questo periodo. Se ne parla, ormai quasi quotidianamente, più o meno ovunque. Ma quali sono i meccanismi che li sottendono? E che cosa s’intende, precisamente, quando parliamo di “Disturbo Alimentare”?

Cosa sono i Disturbi Alimentari:

Generalmente, quando pensiamo a questa categoria, tre sono le patologie che maggiormente tendiamo a ricordare:

  • l’Anoressia Nervosa (etimologicamente: àn + òrexis = mancanza di appetito), caratterizzata da restrizioni rigidissime, se non addirittura da digiuni;
  • la Bulimia Nervosa (etimologicamente: bûs + limós = fame da bue o grande fame), caratterizzata da un’alternanza di restrizioni e abbuffate;
  • e il Disturbo da Alimentazione Incontrollata, spesso connesso all’obesità e caratterizzato dall’assunzione di enormi quantità di cibo, senza metodi compensatori.

Eppure i disturbi alimentari non cessano con queste tre macro-categorie, anzi. Ne esistono molti altri, ciascuno con una propria peculiare particolarità, che cercheremo di indagare più avanti, in questa rubrica. Per oggi, vorremmo concentrarci su un aspetto preliminare: una lettura simbolica dell’immaginario del cibo e del nutrimento.

Rapporto con il cibo, rapporto con il mondo:

È attraverso il gesto di nutrirsi, infatti, che ognuno di noi costruisce il proprio particolare pezzo di mondo. Come sottolinea il filosofo Robert Nozick: “il mangiare è un rapporto di intimità. Mettiamo dentro di noi pezzi della realtà esterna; ingoiandoli li mandiamo ancora più dentro, dove vengono incorporati nella nostra materia, nella nostra carne e nel nostro sangue. È straordinario come noi trasformiamo alcune parti della realtà esterna nella nostra stessa sostanza. Quando mangiamo la distanza tra noi e il mondo si riduce al minimo. Il mondo entra in noi; diventa noi. Noi siamo fatti di pezzi di mondo”.

Il mangiare metaforicamente della Psicologia Archetipica:

Un concetto che, trasposto nel linguaggio peculiare della Psicologia Archetipica, rimanda inevitabilmente all’importanza della deletteralizzazione e del discorso metaforico. Come scrive lo stesso Hillman, infatti: La trasposizione metaforica…è al centro della missione della psicologia archetipica, è l’intenzione con cui si rivolge al mondo [1].

Analizziamo il cibo, allora, partendo proprio da questo aspetto centrale, senza mai perdere il riferimento alle parole di Nozick. E cerchiamo di immaginare il modo in cui mangiamo, ciò che mangiamo e in quale quantità come la metafora (cioè il simbolo, dal greco symballein = mettere insieme) del rapporto che abbiamo con noi stessi e con il mondo.

La psiche parla metaforicamente!

Del resto, come sosteneva John Perceval [2], la psiche parla poeticamente. Parla cioè, come i poeti: attraverso immagini figurative. Come quando diciamo e scriviamo, ad esempio, “Paolo è un orso”: Paolo è davvero un animale? O è un uomo schivo, chiuso, abitudinario, esattamente come un orso?

Tutto ciò che desidera, la direzione verso cui vorrebbe che ci movessimo, i cambiamenti che vorrebbe che attuassimo, la nostra psiche ce li comunica, costantemente, attraverso un linguaggio fatto di forme immaginali. A tal punto che l’immaginazione e la fantasia (intese proprio come capacità di creare immagini) sono diventate parole chiave di questo innovativo (ma allo stesso tempo arcaico)  metodo psicologico.

La psiche è fatta di immagini:

Le immagini fantastiche sono, a un tempo, le materie prime e i prodotti finiti della psiche, e costituiscono il modo privilegiato d’accesso alla conoscenza dell’anima. Non c’è nulla che sia più primario. Ogni nozione della nostra mente, ogni percezione del mondo e sensazione interiore, deve passare attraverso un’organizzazione psichica per poter anche solo «avvenire». Ciascun sentimento od osservazione si manifesta come evento psichico innanzi tutto attraverso la formazione di un’immagine fantastica [3].

Ogni immagine, dunque, contiene in sé un significato e un senso totalmente psichico, e alla psiche, pertanto, deve essere costantemente riferito e rimandato, così da poter raggiungere il proprio scopo.

Il cibo nei Disturbi Alimentari:

Torniamo a rivolgerci al cibo, allora, e al nostro rapporto con il mangiare, con una nuova consapevolezza: cercando di vedere quelli che sono i tipici sintomi dei disturbi alimentari, proprio come esigenze psichiche trasposte sotto forma di immagini. Metafore che veicolano contenuti più profondi. 

Di che cosa abbiamo fame davvero, quando mangiamo fino a scoppiare? Che cosa stiamo cercando di far nostro (sulla scia delle parole di Nozick) attraverso il divorare? E, sul versante opposto: che cosa non vogliamo assimilare quando rifiutiamo il cibo o attuiamo rigide restrizioni alla nostra alimentazione?

Mangiare nei sogni:

Nei sogni questo meccanismo appare piuttosto lampante.  

Una paziente, una volta, sognò un lupo che sbranava un cervo, a sua volta, poi, finendo sbranato da un grande felino. Lavorando sul contenuto metaforico del sogno, uscì fuori che la donna, che stava cercando di far combaciare da tempo i contenuti connessi ad un forte senso di indipendenza (il cervo è un’animale sacro ad Artemide, dea della caccia, simbolo di grande autonomia), con la società (il lupo è un animale che vive in branco) e con la femminilità (sempre connessa ai felini), era finalmente riuscita nel suo intento. Giacché il felino, cibandosi del lupo che si era cibato del cervo, aveva così avuto modo di assimilare e far proprie le caratteristiche di entrambi gli animali. Come in una sorta di strana matriosca onirica.

La psiche politeistica:

Doveroso ricordare, a questo punto, che un altro dei concetti fondamentali della psicologia archetipica, oltre a quello di immagine, è quello di psiche politeistica. Come a dire che ognuno di noi è un po’ come un grande romanzo corale: ricco di tanti personaggi che interagiscono dentro di sé. Ciascuno di questi personaggi rappresenta uno specifico modo di rapportarsi e di vedere il mondo, e svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo della nostra “trama personale”. C’è il padre, che guida e sostiene. La madre, che accoglie, nutre e protegge. C’è il fanciullo (il puer) che infonde entusiasmo per ogni nuova avventura. E il vecchio (il senex) che richiama alla responsabilità e che ci tiene con i piedi per terra. Il mentore, il fratello, la sorella, il ladro, il marito, la moglie…

Nutrire i personaggi interni:

Proprio per questa loro grande varietà e questa loro importanza centrale, ciascun personaggio dovrebbe allora esser nutrito e trattato alla stregua di tutti gli altri. Così, nel momento in cui un disturbo alimentare si instaura, possiamo immaginare che ci sia uno (se non più di uno) dei personaggi interiori che non è nutrito adeguatamente. Per cui, ogni volta che ci stiamo alimentando in maniera eccessiva, ci abbuffiamo, o rifiutiamo un determinato cibo, diventa utile interrogarci non solo sull’aspetto simbolico del cibo stesso che stiamo controllando, ingurgitando bulimicamente o vomitando, o solo sul senso psicologico del tipo di azione che stiamo attuando, ma è fondamentale interrogarsi anche su chi (cioè quale personaggio) dentro di noi sta compiendo quell’azione e con quale scopo.

Come scrive Jung, infatti:

Da qualche parte, proprio in fondo al proprio essere, generalmente si sa dove si dovrebbe andare e cosa si dovrebbe fare. Ma ci sono momenti in cui il clown che chiamiamo ‘io’ si comporta in modo così distratto che la voce interiore non può far sentire la sua presenza.

La nascita del sintomo, come messaggero inascoltato:

Ogni volta che ci troviamo di fronte a dei disturbi alimentari, infatti, (come con qualsiasi altro sintomo) è come se distogliessimo l’attenzione dalla nostra psiche e dai suoi bisogni. E ad essa, allora, non resta altro da fare se non inventarsi un nuovo modo per raggiungerci e comunicarci le sue necessità. È il sintomo, l’ambasciator che porta pena, il meccanismo a cui tutto ciò viene dunque delegato. Almeno finché lo sguardo psicoterapeutico non inizi a volgere alla ricerca dell’essenza archetipica (cioè il contenuto psichico profondo) che si trova nascosta dentro di esso, per riportarla in luce, accoglierla e permetterle di esprimersi.

Accogliere l’ambasciatore, accedere al messaggio:

Conoscere quale messaggio si cela dentro i nostri sintomi, diventa così di fondamentale importanza. Giacché non solo ci aiuta a comprendere la natura stessa del contenuto che viene veicolato (quale necessità ha in questo momento la mia psiche) ma, esplorando anche il tipo di voce che lo ha inviato (quale personaggio dentro di me) delinea, prospetticamente, una possibile dinamica evolutiva. Mettendo in luce, cioè, la direzione da seguire, chiara e appartenente alla natura stessa del contenuto. Una direzione che si presentava talmente tanto controintuitiva e peculiare, perché poco logica se messa in confronto con le dinamiche tipiche della coscienza collettiva, da suscitare angoscia e instaurare tutta una serie di meccanismi difensivi che, in realtà, altro non facevano che allontanare ancora di più dal reale significato del sintomo stesso.

La natura peculiare della Psicologia Archetipica:

Sta in questo, la peculiare caratteristica della Psicologia Archetipica: nella ricerca della profondità. Un valore aggiunto, rispetto a terapie che si fermano al comportamento tout court e alla sua espressione superficiale, che già Jung e, poi, più ancora, Hillman avevano ben posto in evidenza. Affermando l’importanza del non fermarsi a un’analisi generale (che corre il rischio di diventare generica) della dinamica tra il modo di manifestarsi di un sintomo e la sua possibile lettura psicologica, ma cercando piuttosto di andare oltre nell’analisi specifica del comportamento di ogni singolo aspetto della psiche.

Volgere alla ricchezza interiore:

È così che i classici detti: “quando si rifiuta il cibo, si rifiuta il mondo” oppure “quando si addenta in maniera bulimica il cibo, s’ingurgita il mondo rabbiosamente”, vengono ad arricchirsi di riflessioni che vanno a indagare la natura specifica del personaggio che fa questo e lo scopo che persegue. Scongiurando, in tal modo, il rischio di andare lontani dal significato simbolico dell’atto, frequentemente, purtroppo, connesso al rimanere su una prima lettura superficiale.

Dare valore al mondo interno:

È fondamentale evitare di perdere il vero scopo e il vero significato di un dato sintomo, giacché è lì che si nasconde la sua risoluzione. La psiche, infatti, così come è in grado di produrre il sintomo come esito di una sua necessità non accolta, allo stesso modo è in grado di risolverlo nel momento in cui quella stessa necessità viene vista e onorata. Occorre, però, scendere in profondità, per scoprire e riconoscere il messaggio che si nasconde dietro ogni nostra patologizzazione, differenziandolo, di conseguenza, a livelli sempre più profondi e più specifici. Nulla, insomma, di così diverso rispetto a quando ci sottoponiamo a delle mere indagini organiche, quando il medico afferma che dalle analisi del sangue non possiamo scoprire le stesse identiche patologie che potremmo scoprire con esami più approfonditi.

Un po’ di pubblicità…

Proveremo, nei prossimi articoli, a portare qualche esempio e a porre qualche differenza tra personaggi, cercando di indagare la loro origine archetipica e il loro modo di muoversi all’interno della psiche individuale. E, quindi, di conoscerli nella loro essenza profonda, per capire, quando si rapportano in un certo modo con un certo cibo, perché lo stanno facendo e con quale obiettivo. Inseriremo, poi, il discorso nel resto dell’economia delle dinamiche psichiche e delle dinamiche interrelazionali, provando, anche, a raccontare, attraverso la narrazione di alcuni casi clinici afferenti al nostro centro di psicoterapia, centro annesso all’Istituto di Specializzazione in Psicoterapia Atanor (nel quale operano molti docenti della Scuola, anche come comitato scientifico su una ricerca e una supervisione clinica su tutti i casi seguiti), alcune esperienze di persone che hanno transitato i disturbi alimentari e li hanno superati, proprio attraverso la Psicologia Archetipica.

Mangiare, mondo, madre…

Tra i vari aspetti che andremo ad analizzare, infine, grande spazio sarà dato al rapporto con l’immaginario materno. Giacché la madre, soprattutto nelle prime fasi della nostra vita, è il primo tramite del nostro rapporto con il mondo. Rimandiamo, in questo caso, per un approfondimento più specialistico, anche alla lettura del capitolo dedicato ai Disturbi Alimentari contenuto nel testo: Prospettive cliniche nella dipendenza e nella tossicodipendenza. Simboli ed immaginari, a cura di Angela Paris, Edito da Porto Franco Editore, L’Aquila, 2015.

 

Sono psichiatra da venticinque anni e ho analizzato più di duemila sogni: basandomi su questa esperienza direi che con ogni probabilità proprio il mangiare, in connessione con la drammaturgia teatrale, significhi l’assimilazione delle immagini riflesse nel proprio teatro interno”.

(Carl Gustav Jung _ Analisi dei sogni).

 

[1] https://www.treccani.it/enciclopedia/psicologia-archetipica_%28Enciclopedia-del-Novecento%29/

[2] Cfr. Hillman, J. (1974-1985): La Vana Fuga degli Dei, Milano, Adelphi, 1991.

[3] Hillman, J. (1975) Re-visione della psicologia, Milano, Adelphi, 1983.

 

Dott.ssa Michela Bianconi, Dott.ssa Angela Paris 

 

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