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Theobroma. Il cioccolato dagli Dèi agli Uomini…

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Cioccolato: riprendiamo il discorso…

Cos’altro puoi rammentare di un gran cioccolato, se non il desiderio esplosivo,
seducente, dirompente di assaggiarne ancora, e ancora, e ancora?

(Raymond Hammer, Lettera al Duca di Baviera, 1865)

Scrive Albert Einstein, nella Lettera a un fabbricante di cioccolata (1954), che, per essere certi di venir accolti con favore dagli uomini, è meglio offrire loro cibo per lo stomaco che per la mente. Una citazione, questa, che ben si adatta a quanto abbiamo scritto nell’ultimo articolo (rivolto ai professionisti) pubblicato nella nostra rubrica: Theobroma. Il cioccolato: cibo degli Dèi.

Quetzalcoatl: il ladro che rubò il cacao agli Dèi…

Ricordate? In uno slancio di epistrophé (dettata anche dalla gola), abbiamo riportato la lettura simbolica di questo particolarissimo alimento al mito di Quetzalcoatl. Il Serpente Piumato del pantheon azteco, che, sottraendolo agli altri Dèi, donò il cacao agli uomini. Finendo col leggere il desiderio di cioccolato come un bisogno di psiche di esser nutrita di una sostanza quanto più simile possibile a se stessa. In altre parole: di una sostanza immaginale.

Ripartiamo, allora, oggi, proprio da qui.

Il serpente piumato.

Che il cioccolato possa esser ricondotto a una doppia natura (materiale e immaginale), è fin troppo evidente già nel nome e nelle sembianze di colui che lo porta. Quetzalcoatl, infatti, deriva dal termine nāhuatl “quetzal[li]-cōhuātl”, che significa per l’appunto “uccello serpente” o “serpente piumato”. Un bellissimo ossimoro, se ci pensiamo, che riconduce alla coniunctio tra due elementi tra loro fortemente antitetici: la terra (il serpente) e l’aria (l’uccello e le piume).

Cioccolato: frutto della terra…

Come scrive Gaston Bachelard in La terra e il riposo (1948): “Il serpente è uno degli archetipi più importanti dell’anima umana. È l’animale più terrestre”. Simbolo dell’Uroboros, può esser letto, infatti, come una rappresentazione dell’eterno ciclo di vita e morte, e di una eternità che è causa di se stessa. Esattamente come la Grande Madre Terra, che crea e divora le sue creature all’infinito.

Il serpente che si morde la coda non è un filo ripiegato, un semplice anello di carne, è la dialettica materiale della vita e della morte, la morte che scaturisce dalla vita e la vita che si genera dalla morte, non come i contrari della logica platonica, ma come una conversione infinita della materia di morte e di quella vitale. (…) Si tratta di un serpente che si è punto e che ha tratto una nuova vita dal proprio veleno per rendersi immortale. Si fa fermento per se stesso. Se si comprende a fondo il valore inconscio del fermento nelle epoche prescientifiche, ci si rende conto che l’essere che è fermento per se stesso ha vinto l’inerzia [1].

Cioccolato: il legame con la morte e l’oscurità…

Un collegamento, quello con la morte intesa, dunque, come fertilità e rinascita, ulteriormente  sottolineato, nel mito azteco, dal racconto della creazione degli uomini. Agita da Quetzalcoatl, a partire dalle ossa dei morti. E dal legame con Tezcatlipoca, dio dell’oscurità, che, come abbiamo accennato nel precedente articolo, fu incaricato di punirlo per il furto del cacao.

Soffermiamoci su questa divinità.

Tezcatlipoca, punitore per il furto del cacao.

Signore della guerra, del fuoco e della morte, Tezcatlipoca (etimologicamente: “specchio fumante”) era associato alle forze della distruzione e del male. Veniva raffigurato con una striscia nera sul volto o con uno specchio di ossidiana sul petto, grazie al quale era in grado di vedere le azioni e i pensieri dell’umanità, soprattutto le opere dei malvagi meritevoli di esser puniti. E gli venivano tributati dei sacrifici umani, generalmente scelti un anno prima della cerimonia, tra coloro che erano “belli e senza difetti”, proprio a rappresentare il dio.

Nel mito, Tezcatlipoca è fratello e controparte di Quetzalcoatl, con il quale creò e distrusse il mondo varie volte, prima di giungere all’universo definitivo (quello che viviamo noi oggi). Un aspetto, questo, che rafforza ancora di più il legame tra vita e morte, creazione e distruzione. Rimandando di nuovo al concetto di Uroboros e portando a riflettere su quanto lo stesso Hillman afferma a proposito del legame tra anima e morte.

Cioccolato, anima e morte…

La nostra psicologia del profondo è, di fatti, una psicologia che muove dalla prospettiva della morte, in quanto mezzo di attribuzione di significato. La morte, infatti, come ci spiega Hillman, dona profondità e rende valore agli eventi che transitiamo. Consentendoci di così di trasformarli in esperienze ricche di senso per noi stessi e per la nostra anima.

Diventa importante, a questo punto, chiederci, ritornando al mito e alla lettura che abbiamo iniziato a darci la scorsa volta, come mai, visto il legame che c’è tra di loro, sia proprio Tezcatlipoca a punire Quetzalcoatl del furto del cacao theobroma. E in cosa consista davvero il peccato commesso dal Serpente Piumato.

Il furto del cioccolato, ricordare l’importanza di onorare gli Dèi:

Riprendiamo lo scorso articolo, allora, e ripartiamo dal momento in cui abbiamo paragonato gli Dèi agli archetipi che governano la psiche. Riconoscendo il sottrarre loro il proprio cibo come un sottrarre nutrimento all’anima, instaurando, di conseguenza, una modalità di vivere la vita che trascura la profondità. Come c’insegna Jung, nel momento in cui smettiamo di onorare gli Dèi, gli Dèi tornano da noi imponendosi alla nostra attenzione sotto forma di malattie. Distorsioni che, nel linguaggio archetipico hillmaniamo preferiamo piuttosto definire come patologizzazioni, per sganciarle da una visione troppo medicalizzata, o sintomi. Laddove il termine sintomo, richiamando al greco symballein, indica già di per sé un mettere insieme che riporta alla memoria l’unione di volatile e concreto (psichico e materiale).

Desiderio di cioccolato: letteralizzazione.

Ecco allora che il desiderio psichico di dare nutrimento agli Dèi, si trasforma in un sintomo concreto (mangiare cioccolato). Letteralizzandosi nella voglia di cibo e dando al proprio oggetto di soddisfacimento una forma ben stabilita. È così che, per ridirla come Einstein, andiamo a preferire il nutrimento dello stomaco a quello della mente. Credendo che quella ricerca di dolce e volatile, sia solo concreta e non immateriale, o metaforica.

Un’illusione che la terapia con il metodo archetipico (come dimostra la nostra esperienza clinica) non solo può svelare, insegnando al paziente a penetrare la materialità del sintomo stesso, per scorgere al suo interno la sostanza immaginale che ci si trova incamerata. Ma, portandolo a leggere il significato psichico che si cela dietro ogni suo gesto, lo aiuterà ad uscire da una coazione che si ripete da chissà quanto tempo, facilitando un nuovo rapporto con se stesso e con il proprio corpo. E consentendo loro, infine, di cominciare a vivere una nuova vita. Più ricca e densa di significato.

Conclusioni:

Eccoci, dunque giunte, alla conclusione di questo articolo. Di nuovo, ribadendo che quella fornita è soltanto una lettura del possibile desiderio di cioccolato, alla quale se ne possono affiancare molte altre, contestualizzandole.

Per ulteriori approfondimenti vi invitiamo a continuare a seguire la nostra rubrica.

[1] Gaston Bachelard (1948): La terra e il riposo, Red, Como, 1994.

 

Dott.ssa Michela Bianconi e Dott.ssa Angela Paris.

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