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BULLISMO. Analisi etimologica del termine.

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Etimologia del termine “BULLISMO”:

Siamo soliti considerare il termine bullismo come derivante dall’inglese “to bull”: usare prepotenza, maltrattare, intimidire, intimorire. Eppure nell’etimologia arcaica di questa parola, è custodito un immaginario di ben diversa natura. Alcuni ne ascrivono l’origine al tedesco “BULE” (amico intimo). Altri, addirittura, la rinviano all’olandese “BOEL” (fratello). Due immaginari che, di certo, si fa fatica a riconoscere dietro i tipici comportamenti da bullo e che sicuramente, per chi, almeno una volta nella vita, ha subito bullismo, sono quasi impensabili.

Evoluzioni del termine bullismo:

Viene, allora, spontaneo, a questo punto, chiedersi come sia stato possibile che il significato arcaico di questo termine abbia subito la trasformazione che lo ha reso ciò che è oggi. Come ha potuto l’amico intimo e il fratello diventare il ragazzino che maltratta i suoi compagni di classe più deboli?

Ci sembra strano, perché siamo abituati a pensare che dalle persone con le quali stringiamo un legame importante (come l’amicizia) o con le quali abbiamo un legame di sangue (la fratellanza) non possa mai arrivarci del male. L’amico e il fratello sono infatti, a tutti gli effetti, i nostri alleati. Impossibile non pensarla così. Eppure, nell’evoluzione di BOEL (fratello) qualcosa deve sicuramente essere andato storto se, influenzando l’inglese, questo termine è finito col confluire in BULLY (il prepotente) e in BULLISMO, di conseguenza.

Sarà stata, allora, colpa dell’influenza francese, che in questa parola e nella sua evoluzione ha introdotto, attraverso il termine BOLE, l’inganno?

Bullismo mitico: Caino e Abele.

Di certo c’è un mito all’interno del quale tutto ciò sembra confluire quasi alla perfezione.

Si tratta del mito di Caino e Abele, i primi fratelli della storia secondo il racconto ebraico-cristiano.

Stando a quanto narra Bibbia, essi erano i primi due figli nati da Adamo ed Eva dopo la cacciata dal Paradiso Terrestre. Caino praticava l’agricoltura e Abele la pastorizia: entrambi offrivano a Dio in sacrificio i prodotti del loro lavoro, ma solo le offerte di Abele venivano accettate. Una preferenza che inevitabilmente suscitò la gelosa di Caino, che portò il fratello nei campi e lo uccise. Quando Dio scoprì il delitto, maledisse l’assassino e pose su di lui “un segno” che lo proteggesse dalla vendetta.

La colpa di Caino:

Al di là di come sia andata a finire questa storia, e di tutte le teorie che su di essa sono state costruite, il punto più interessante della vicenda, a nostro avviso, è per quale motivo Dio preferisca il fratello pastore all’agricoltore.

Ci aiuta, in tal senso, una traduzione greca del verso 7 nel quarto capitolo della Genesi, assai difficile nell’originale ebraico, stando alla quale la colpa di Caino sembra essere quella di aver diviso ingiustamente i beni da sacrificare, dando a Dio la parte peggiore dei frutti della terra. Un aspetto mitico che i Greci stessi conoscevano già, come parte integrante di un’altra storia, ugualmente arcaica, e riguardante un altro personaggio: Prometeo il preveggente (colui che pensa prima degli altri).

L’inganno di Prometeo. Bullismo contro gli Dèi.

Figlio di Giapeto e di Climene (o forse Asia), questo titano è divenuto famoso per la sua scaltrezza e la sua astuzia e per il fatto, interessante, di essersi sempre schierato con gli uomini contro gli Dèi. Un episodio, in tal senso, particolarmente degno di nota, ricorda la disputa intorno alla spartizione di un toro, che Prometeo, chiamato a far da giudice, utilizzò come pretesto per privilegiare i mortali.

Il titano, infatti, procedendo con estrema cura alla pulizia dell’animale sacrificato, raccolse le ossa da una parte e nascose la carne polposa all’interno del suo ventre sporco e viscido, ricavando, di fatto, due pacchetti che sottopose quindi al vaglio di Zeus. Il padre degli Dèi, ovviamente, optò per il contenuto che sembrava più appetitoso e di colore chiaro. Ma una volta aperto il pacchetto, si rese conto di essere stato ingannato poiché l’involucro, sotto un primo strato di grasso, conteneva soltanto ossa, ben pulite e astutamente raccolte.

Questo trucco costò agli uomini il grano, che fino a quel momento era cresciuto spontaneo nei campi, costringendoli, di fatto, a dover cominciare a lavorare duramente per nutrirsi. Ma soprattutto, costò loro il fuoco, uno dei beni più preziosi.

Perdere il fuoco:

Ma perché proprio il fuoco?

Proviamo a concentrarci su questo aspetto simbolico estremamente accattivante e attraente.

Il fuoco, stando a quanto afferma Eraclito l’Oscuro, è la prima materia. Esso, infatti, rappresenta un eterno movimento, un eterno divenire, che può trasformare tutte le cose perché tutte le cose possono trasformarsi in fuoco. Si tratta, dunque, di un logos, che regola i fenomeni della natura secondo leggi ben precise e che, proprio perché presente in tutte le cose, tutte le cose accomuna, ponendole in contatto tra di loro e consentendo di coglierle nella loro oggettività.

È così che diviene, di conseguenza, un vero e proprio strumento di conoscenza.

Il fuoco, strumento di conoscenza:

È, infatti, lavorando sul fuoco, con il fuoco, che l’uomo lavora sul proprio sapere. Il sapere delle cose del mondo e il sapere di se stesso. Come afferma Lévy-Strauss: Nello stesso momento in cui gli uomini cominciano a produrre il fuoco, il fuoco comincia a produrre gli uomini, che è un po’ come dire che, nello stesso momento in cui gli uomini cominciano a manipolare il fuoco, il fuoco inizia la sua azione trasformatrice su di loro.

Pensiamo a quanto la sua scoperta sia stata funzionale e rivoluzionaria nella storia della nostra specie: protezione, lavorazione dei metalli, cottura dei cibi…ma non solo! Non dobbiamo dimenticare, infatti, che le prime storie, le prime leggende, i primi miti nacquero proprio intorno al fuoco e che, di fronte al fuoco, dunque, l’uomo ha avviato la ricerca di quell’essenza in grado di definirlo, quel carattere, come lo chiamerebbe Hillman (1999), che è il principio della sua forma e della forma di ogni cosa, così come essa appare.

Negare la conoscenza di sé:

Diventa chiaro, a questo punto, comprendere la portata della punizione che Zeus inflisse a seguito dell’inganno di Prometeo: quando si smette di onorare gli Dèi (o gli si offre un cibo assolutamente non nutriente), non si può accedere alla conoscenza di se stessi. Un pensiero che troviamo molto ben spiegato in Jung, prima, e nella Psicologia Archetipica di Hillman, poi.

Il concetto di archetipo:

Entrambi questi autori partono, infatti, dal presupposto che la psiche di ciascuno di noi contenga, dentro di sé, una moltitudine di strutture nate per aiutarci ad affrontare ogni possibile evento di fronte al quale la vita voglia porci. Tali strutture fondamentali, che Jung definisce “ARCHETIPI”, funzionano un po’ come i mattoncini del nostro DNA, richiamando possibilità rappresentative non individuali ma comuni a tutti gli uomini. Secondo l’autore:

gli archetipi non devono essere ritenuti idee ereditate; piuttosto l’equivalente di schemi di comportamento della biologia. Gli archetipi rappresentano un modo del comportamento psichico. Come tali, sono fattori irrappresentabili che inconsciamente informano gli elementi psichici.

Gli archetipi insomma non sono forme prestabilite e precostruite, ma richiamano la possibilità che qualsiasi contenuto possa essere espresso attraverso una forma, che risulta tipica a livello collettivo.

Gli archetipi dell’inconscio collettivo:

È pertanto attraverso essi che possiamo accogliere gli eventi che ci capitano e scoprirvi un senso e una profondità che vanno ben oltre le nostre abitudini e le nostre bizzarrie individuali. Ed è attraverso la prospettiva archetipica che abbiamo modo di collegare quanto avviene dentro ciascuno di noi a quanto avviene a tutti gli individui in ogni luogo e tempo.

Immaginiamo quindi gli archetipi come i modelli più profondi del funzionamento psichico, come le radici dell’anima che governano le prospettive attraverso cui vediamo noi stessi e il mondo […] ma una cosa è assolutamente essenziale per la nozione di archetipico: il loro effetto possessivo ed emotivo, quel loro abbagliare la coscienza […] l’archetipo, in quanto creatore di un universo volto a tenere sotto il dominio del suo cosmo tutto ciò che facciamo, vediamo e diciamo, è soprattutto paragonabile a un Dio[1].

Il Bullismo verso se stessi: disconoscere la realtà interna.

Eccolo, dunque, uno degli aspetti più interessanti e curiosi di questo discorso: le immagini archetipiche possono essere immaginate come tanti personaggi, persone archetipiche per l’appunto, che abitano le vastità psichiche.

Noi intuiamo la presenza di queste altre persone e le chiamiamo ruoli – madre, amante, figlia, strega, megera, nutrice, moglie, bambina, ninfa, locandiera, schiava, regina, prostituta, danzatrice, sibilla, musa. Quando li consideriamo come Dei, gli archetipi personificati diventano qualcosa di più che inclinazioni costituzionali e forme istintuali di comportamento, qualcosa di più che strutture ordinatrici della psiche, fondamento delle sue immagini e organi vitali delle sue funzioni. Ora li riconosciamo come vere e proprie persone. Ciascuno di essi si presenta come uno spirito guida (spiritus rector) con posizioni etiche, reazioni istintuali, modi di pensiero e di parola, richieste di partecipazione emotiva. Queste persone governano i miei complessi e, attraverso essi, la mia vita, la quale è la varietà dei miei rapporti con loro[2].

Iniziamo a comprendere, ora, la gravità degli inganni perpetrati da Caino e da Prometeo.

Ingannare gli Dèi: minimizzare l’importanza dei contenuti intrapsichici.

Entrambi convinti di privilegiare l’essere umano, privando gli Dèi dell’importanza loro tributata, di fatto questi hanno condannato gli uomini a un’esistenza che non tiene in considerazione i fattori psichici, spogliandoli della possibilità di accedere alla conoscenza di se stessi (oltre che del mondo), attraverso il nutrimento del proprio rapporto con le divinità (qui, interpretabili, per l’appunto, come essenze archetipiche).

È come dire che nessuno dei due, nel momento in cui agì, sicuramente in buona fede, tenne in considerazione il fatto che è proprio nel momento in cui ignoro o minimizzo l’importanza dei miei contenuti interni (le mie divinità interiori), che rischio di divenire vittima di ciò che si cela dentro di me.

Come direbbe causticamente Francis Crawford, mirabolante protagonista de Le Cronache di Lymond (Dorothy Dunnett, 1961 – 1975): l’inganno inganna e sarà ingannato.

La psiche politeistica:

Possiamo provare, infatti, a considerare i nostri aspetti intrapsichici come personaggi che abitano un grande albergo: il nostro meraviglioso mondo interiore. C’è chi viene, c’è chi parte. Chi vi resta affezionato per tutta la vita e chi si presenta solo occasionalmente. Ciascuno di loro, però, è lì per un suo scopo ben preciso: la brava studentessa, il Professore, il Buffone, il Socievole, quello che mette confini, quella che ci fa innamorare, il Giudice, la Madre, il Padre, l’Alleato, la Fanciulla, la Rabbia…potremmo nominarne a bizzeffe! Ciascuno funzionale per la vita.

Nutrimento al servizio della psiche:

Non conoscere quali ospiti si aggirano nel nostro albergo, o fingere di ignorarne l’esistenza, potrebbe condurli, presto o tardi, a richiamare la nostra attenzione: esattamente come farebbe il cliente di una stanza quando, dopo un certo periodo di permanenza, nessuno è mai salito a portargli del cibo o gli ha portato soltanto gallette di riso!

All’inizio, egli proverà sicuramente con le buone a farci capire il suo bisogno di nutrimento. Tenterà e ritenterà, finché cominciando a sentirsi decisamente ignorato, alla fine metterà su una bella piazzata nella hall, aggredendo, magari, il concierge.

Oppure finirà coll’imbastire una bella manifestazione all’esterno, costringendoci, volenti o nolenti, di fatto a fare i conti con ciò che  rappresenta.

Risonanze esterne:

Ciò che accade, in questo caso, è che il bisogno del nostro personaggio ignorato (chiamiamolo così) si trasforma in qualcosa di concreto, che viene scisso dal mondo interno e proiettato (gettato) su qualcosa o su qualcuno del mondo esterno, tale per cui, se la parte che sto ignorando ha a che fare, ad esempio, con la rabbia e l’aggressività, mi ritroverò a dovermi confrontare con qualcuno che vivrò esattamente come rabbioso e aggressivo.

E, viceversa, se il personaggio che sto ignorando ha a che fare con la cura o con la fragilità, mi ritroverò ad avere a che fare con qualcuno nei confronti dei quale dovrei essere protettivo e accudente.

L’importanza dell’accoglienza:

La cosa interessante da notare, a questo punto, è che spesso, nonostante lo sforzo della nostra psiche di comunicare con noi assuma contorni che ci costringano, in un modo o nell’altro, a fare i conti con il contenuto del messaggio da ascoltare, può accadere comunque che il nostro atteggiamento nei suoi confronti sia ancora ostile e non accogliente.

Bullismo e Proiezioni:

Ed è questo ciò che accade, ad esempio, nel bullismo, nel momento in cui il bullo, che molto probabilmente dovrebbe imparare a rispettare e ad accogliere le sue parti più fragili, attacca la vittima, colui, o colei, cioè che rappresenta, in quel momento, proprio “il cliente dell’albergo ignorato”.

Interferenze etimologiche nella parola “Bullismo”:

Ecco, dunque, spiegata l’interferenza che ha condotto BULE (l’amico intimo) e BOEL (il fratello) a BULLY (il prepotente). BOLE (l’inganno), mettendosi di mezzo nel rapporto con noi stessi e con le strutture archetipiche che popolano il nostro mondo interno, facendoci credere di perseguire il nostro bene, ci ha allontanato dalla nostra vera natura. E, ponendoci in contrasto con la profondità che ci vive dentro, ci ha reso prepotenti e svilenti nei suoi confronti.

Riscoprire la radice etimologica di “Bullismo”: diventare amici di se stessi.

Abbiamo dimenticato come essere amici di noi stessi, preferendo piuttosto eleggerci a sovrani del nostro regno. E spaventati, forse intimiditi, dalla pluralità dei personaggi che abitano il nostro albergo, ci siamo dimenticati di essere ospiti democratici.

Prima ancora della ragione vi è il movimento volto all’interno che tende verso ciò che è proprio.[3]

Accogliere la pluralità dei nostri personaggi interiori è un compito arduo per quella parte di noi che tutto vuol gestire e controllare, ma è proprio la discesa verso quel mondo che ci ri-porta a noi stessi.

L’importanza del dialogo:

Ciascun essere umano è una forma di vita in se stessa unica e irripetibile. L’uomo nasce con la sua individualità. Ma c’è qualcosa che egli può fare al di là e al di sopra del materiale precostituito della sua natura, e cioè può diventare cosciente di ciò che lo fa essere la persona che è, e può consciamente adoperarsi per connettere ciò che egli è con il mondo che lo circonda.[4]

Mettere in relazione le parti più profonde di noi con il mondo che ci circonda equivale a entrare in contatto con le nostre fragilità e iniziare a colloquiare con esse. Il dialogo e l’ascolto risultano, quindi, importanti strumenti per far sì che tale accoglienza abbia luogo.

Il ruolo della scuola:

Da questo punto di vista, la scuola, come centro della polis relazionale, culturale e psichica, svolge un fondamentale ruolo di formazione, offrendo ai suoi alunni molteplici opportunità di crescita, e non solo attraverso il rapporto con gli altri studenti e con gli insegnanti.

Esistono scuole, infatti, che, già a partire dagli ultimi anni, hanno cercando di sostenere i loro ragazzi (e non solo) attraverso la creazione di sportelli di ascolto psicologico e la promozione di incontri con professionisti dell’area psicoterapeutica. Sportelli e incontri che, oltre ad offrire spazi di confronto individuali e di gruppo su qualsiasi tematica inerente alla crescita e allo sviluppo, hanno come scopo anche quello di prevenire l’insorgenza di comportamenti a rischio ed evitare che forme di disagio psicologico possano influenzare negativamente il processo di individuazione dei nostri ragazzi.

La casa di Psiche:

È in questo ambito che si inserisce, ad esempio, il progetto: “La casa di Psiche: intervenire nella scuola per conoscere, informare, prevenire”, nato nel 2008 dall’azione congiunta del Centro Studi di Psicologia, Psicoterapia e Formazione Syncrònia Onlus e di Illiper srl, ente gestore della Scuola di Specializzazione Analitica Atanor.

L’obiettivo di questo sportello, che ad oggi vede coinvolti vari istituti sul territorio abruzzese, è quello di promuovere verso la costituzione di una rete inter-istituzionale volta alla promozione e alla diffusione della cultura psicologica e ad avvicinare l’utenza alla figura dello psicologo attraverso la familiarizzazione, la conoscenza del suo ruolo e delle sue competenze per favorire l’emersione della domanda psicologica, del disagio e delle problematiche spesso non consapevoli e pertanto non indirizzate al professionista più adeguato in quel determinato ambito.

Obiettivi dello sportello di ascolto scolastico:

Attraverso le sue attività, lo psicologo offre la propria competenza alla persona che ne fa richiesta con i seguenti obiettivi specifici e sostanziali, tra cui:

  • individuare tempestivamente situazioni di disagio psicologico e procedere nel sostegno al giovane e alla famiglia;
  • accompagnare i giovani nella realizzazione del progetto del proprio futuro professionale, favorendo l’autonomia decisionale;
  • favorire l’utilizzo di risorse inespresse, l’incremento della propria progettualità e l’aumento della motivazione intrinseca, più funzionale e strutturata;
  • favorire la capacità di accettazione delle proprie difficoltà e di gestione delle emozioni negative connesse;
  • sensibilizzare l’utenza sull’importanza dell’elaborazione del potenziale umano che ogni individuo possiede per riqualificare e strutturare nuovi modelli motivazionali;
  • fornire mezzi cognitivi adeguati a poter ristabilire un orientamento delle proprie esigenze a partire dalla motivazione appresa dalle proprie risorse ed abilità da investire;
  • fare informazione per sensibilizzare l’utenza a temi di rilievo per la salute psicologica e a tematiche attinenti alla relazione tra salute psicologica e scelte, motivazioni, percorsi formativi e lavorativi individuali;
  • creare un’alleanza che permetta allo psicologo di lavorare insieme alle famiglie e ai docenti nell’interesse della ragazza e del ragazzo, valutandone gli aspetti di personalità anche nel contesto

Prevenire il bullismo:

Nel caso particolare del bullismo, questi progetti possono rivestire un ruolo fondamentale, non solo per il sostegno di eventuali vittime, ma anche e soprattutto da un punto di vista di prevenzione. Giacché promuovendo una cultura che tenga presente l’importanza del rapporto con il nostro mondo interno, è possibile evitare quello che più in alto abbiamo definito “l’errore di Caino e di Prometeo”.

Servire la psiche: promozione del benessere psicologico.

In fondo la psicoterapia non dovrebbe essere vista in modo poi così differente rispetto all’ora di jogging settimanale: qualcosa che si fa per aver cura di sé e per il proprio benessere, per sfogarsi, per conoscersi, testando i propri limiti e le proprie risorse.

La terapia, o l’analisi, non è solo qualcosa che gli analisti fanno ai pazienti, essa è un processo che si svolge in modo intermittente nella nostra individuale esplorazione dell’anima, negli sforzi per capire le nostre complessità, negli attacchi critici, nelle prescrizioni e negli incoraggiamenti che rivolgiamo a noi stessi. Nella misura in cui siamo impegnati a fare anima, siamo tutti, ininterrottamente, in terapia.

(James Hillman _ Re-Visione della Psicologia)

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[1] J., Hillman, 1975, Re-visione della psicologia, Adelphi, Milano, 2000, p. 20.

[2] Ibidem, p. 30.

[3] Plotino, Enneadi,III, 4.6.

[4] McGuire & R.F.C. Hull, Jung Parla, Gli Adelphi, Milano ,1995, p.212

 

Dott.ssa Angela Paris, Dott.ssa Michela Bianconi, Dott.ssa Valentina Marra

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